Recensione di Anna Stajano

Intervento della Dott.ssa Anna Stajano per conto dell’ ANEB di Reggio Calabria durante l’incontro culturale sulla presentazione del libro “ Rotte Mediterranee” di Francesco Idotta presso il Circolo Didattico  di Gallico Marina il  20 / 11 / 2009.

Il mio intervento in questo incontro vuole essere innanzitutto un attestato di vera e sentita stima nei confronti dell’autore che conosco da molti anni e che apprezzo per il suo crescente amore per il sapere; ma vuole anche rappresentare nel suo piccolo un contributo “sia pure limitato” alle problematiche sociali ed etiche, relative alla convivenza ed all’accoglienza del diverso, trattate nel testo “Rotte mediterranee”.

Dico subito che non sono una specialista in materia di presentazione, perché più che agire in prima persona mi piace ascoltare, perciò chiedo scusa in anticipo all’autore ed a voi tutti se ciò che andrò ad esporre oltre ad essere frutto di una personale lettura del testo potrebbe sembrare mirato a sviluppare solo alcuni aspetti dei problemi che Francesco Idotta affronta nel suo libro.

L’opera non si presta ad una lettura facile e superficiale, perché è un lavoro “dotto, sapiente” direi anche  “severo”, nessuna pagina del libro può essere letta o studiata senza che nella mente del lettore attento non si attivi un processo di riferimenti storici, filosofi e perché non letterari, visto che Abubacer uno dei più interessanti filosofi del mondo islamico scrive un romanzo filosofico, seguito poi in questa pratica da Sergio Givone: le appropriate citazioni, per tornare al libro di Idotta, mentre rappresentano un alternarsi di riflessioni sul presente come un continuum del passato ed una speranza per il futuro, rendendo più efficace il pensiero dell’autore, nel contempo esse offrono a noi lettori una fonte di arricchimento della conoscenza proprio come fa il mare ( protagonista del libro ) che è movimento continuo e perciò stesso sollecita negli uomini il desiderio di partire affrontando l’ignoto. E’ proprio il desiderio dell’ignoto che rende l’uomo libero, dice Idotta, perché lo allontana dal nulla per conquistare uno spazio pieno di essere e di senso: è proprio questo l’amore per la scienza, l’amore per la conoscenza, una dote ormai connaturata in Franceso Idotta.

I Greci, i Fenici, gli Egiziani ed altri popoli affini o vicini, per questo loro desiderio si sono spinti verso le coste dell’Italia meridionale solcando il Mare Nostrum, il Mediterraneo punto di incontro tra civiltà, in esso infatti si sono intrecciati dinamiche etico-politico-sociali da millenni, per consentire l’incontro dell’altro da sé, del “diverso”, quel mare che è stato nel tempo non solo fonte inesauribile di cibo ma anche dispensatore di morte, viene navigato dall’autore attraverso le più importanti scuole di filosofia antiche, moderne, contemporanee sempre dispensatrici di messaggi positivi nel tentativo nobile di dare una risposta “ a che cosa c’era prima ?”. Solo ciò che si interroga si realizza, si concretizza ecco il ruolo della filosofia dice Idotta, nel processo di sviluppo dei linguaggi umani ( arte, politica, religione, ecc ) i quali possono unire se si evince l’utilità di un pensiero che indirizzi, che guidi, ma possono anche dividere, se prevale la logica pericolosa di un’etica fondata sull’omologazione forzata.

C’è un legame profondo che unisce ciascuno di noi al proprio ambiente, a quello che anche Luigi Volpicelli chiama il “Paese dietro le spalle” un mondo assorbito dal bambino con lo stesso latte materno e che, rimane in ciascuno di noi come fondamento stesso della personalità, vale a dire il Paese che h a creato il modo di sentire, di vedere le cose, di accostarsi all’esperienza quotidiana e di farla propria.

Il Paese con i suoi riti, i suo tempi, ma soprattutto il Paese che trova l’accordo con la natura fin dalla prima alba e poi il Paese che si colora di suoni, di giochi, di feste e che si riscopre “unico” per le sue abitudini. L’efficacia di queste emozioni semplici e sensibili che l’ambiente naturale di crescita, già come ambiente fisico ha il potere di accendere, è enorme e duratura nel tempo e nella vita di ognuno. Ecco perché nella prefazione del libro si legge che “Abitare vuol dire vestire un luogo, ecc” e ancora alla nascita si indossa quest’abito e nessuno se lo potrà più togliere e allora occorre all’occasione farlo diventare elegante, cioè capace di scegliere ecc, perché i luoghi non appartengono all’uomo ma è l’uomo ad appartenere ai luoghi “.

Un abitare che non garantisce un possesso esclusivo ma un comodato d‘uso ( Cap. 6°).

Si innesta in questo concetto il dramma dell’emigrante che con la perdita della lingua interrompe i rapporti con i luoghi delle sue origini, né ha la possibilità di arricchire l’indigeno, che resta e resterà tuttavia chiuso nel suo mondo e non ascolterà mai suoni diversi.

Quanta è cresciuta in riflessione ed in meditazioni filosofiche la città di Atene per la presenza di Aristotele, che è vissuto ad Atene ma non ha mai smesso di essere di Stagira.

Aristotele grande maestro, studioso delle diversità, affascinato dal finito, la conoscenza giunge dai sensi, ma l’intelletto fa la sua parte: classifica e conserva e così rende possibile all’uomo una apertura verso l’esterno per trovare quella tabula rasa sulla quale incidere esperienza.

Aristotele parla di felicità terrena dell’individuo che è conoscenza e ricerca del sapere, è esercizio della vita intellettiva, ma ogni individuo deve cercare la sua giusta misura. Ciò naturalmente lascia spazio alla diversità non solo culturale ma anche naturale. E il discorso continua nella ricerca nell’altro e nel diverso , anche se sconosciuto della “benevolenza”, che assomiglia all’amicizia ma non è amicizia, perché può nascere anche in chi non si conosce e può rimanere nascosta; così come la “concordia” non è identità di opinioni ma si basa su un comune interesse e può nascere anche tra uomini che non si conoscono. Fin qui Aristotele e la sua modernità.

L’Europa, dice Idotta, nasce da un desiderio  di concordia dopo le lunghe e disastrose guerre, nasce dalla necessità di trovare soluzione a problemi comuni attraverso trattative, confronti e condivisioni. A tal fine un apporto concettuale notevole ci viene offerto da pensatori come Matvejevic, i quali ci insegnano che sul Mediterraneo i popoli hanno molte cose in comune dalle quali partire per costruire una reale democrazia, fondata però sul rispetto dell’identità che ciascuno porta con sé, e il filosofo fa degli esempi: ci sono gli stessi modi di guardare il Sole, il tramonto, di sentire odori e sapori che sono accanto a noi. Non potrebbero essere queste le basi per un’unità della cultura mediterranea? Purtroppo manca una vera e propria “comunicazione” dice Jaspers, e suggerisce che per comunicare bisogna partire dalla peculiarità di ognuno e non dalla massa, senza rinunciare mai all’identità. La comunicazione, però, non è sufficiente per mirare ad un’unità culturale ed europea, dice Nietzche, e sembra individuare in anticipo di un secolo la condizione umana quale è quella di oggi, in cui non ci sono punti di riferimento stabili ed è venuta meno la certezza kantiana della Legge morale in me e del cielo stellato sopra di me.

A questo punto l’autore di domanda: ma l’Europa non è in debito con i popoli dei paesi del Mediterraneo che con la loro migrazione avevano creato centri di buona accoglienza e di pacifica convivenza in tempi non sospetti? Non era quello un esempio concreto che preludeva ad un’unità europea in fieri?

F.Idotta difende con grande lucidità mentale la condizione del diverso,dello straniero e condanna senza mezzi termini la falsa accoglienza che gli indigeni riservano loro. Egli allora affronta i problemi relativi all’identità dell’uomo straniero ed alla relazione che quest’ultimo non riesce ad instaurare con gli indigeni e con l’ambiente, al dramma umano di persona sradicata dalla sua terra e le difficoltà dell’integrazione che spesso è sopraffazione perché le differenze si annullano, le identità si appiattiscono in una squallida logica di omologazione.

Interessanti e meritevoli di discussioni sono i riferimenti che Idotta, attraverso i grandi filosofi che chiama in causa, Socrate, Platone, Aristotele, Pitagora, Heidgger, Nietzche fa sulla perdita del senso di accoglienza nel tempo, sulla caduta del desiderio di confronto, sull’assuefazione di voler vivere nella stabilità: tutto è rimasto e rimarrà come prima, sulla differenza tra l’uomo del nord e l’uomo del sud in Italia; sull’indifferenza da parte dei contemporanei per tutto ciò che è natura ed ambiente.

Non manca nel testo un gradito omaggio alle donne attraverso versi di poetesse palestinesi, israeliane, ecc ecc.

In conclusione Idotta si rivela egli stesso poeta nelle descrizioni affascinanti delle coste calabresi, del mare, dell’apparire e del tramontare del Sole, della limpida alba della nostra terra, della natura splendida che ci circonda, come a dimostrare che Francesco sa vivere i propri luoghi in maniera originale ed elegante, da illuminare con la sua forte personalità il panorama naturale e culturale che ci circonda.

Anna Stajano