RECENSIONE DI ANNA FOTI

Il mito, con la sua capacità di recuperare il passato, interpretare il presente e proiettarsi nel futuro, da sempre restituisce all’attualità del nostro tempo e della nostra vita una dimensione antica e fedele a quanto di noi rimane immutato e autentico. Un respiro universale che annulla le distanze di tempo e di spazio, trattenendone i contenuti quelli più condivisi, quelli più autentici e quotidiani, e che diviene portavoce di un messaggio che riscalda gli animi e i cuori. Raccontare il mito, dunque, è un po’ come riscoprire quell’umanità semplice che, attraverso i secoli, si nutre di storie e personaggi che aiutano a sentire nostro l’infinito di cui siamo parte. Il genere fiabesco ben si presta a veicolare il mito con la sua leggera e istantanea, ma profonda, carica evocativa. Esso efficacemente si coniuga con le immagini e un linguaggio liberamente articolato in racconti e filastrocche. “Nel giardino delle Tartarughe”, l’ultima pubblicazione di Francesco Idotta incarna proprio un’armoniosa fusione di mito, fiaba e fantasia. Un viaggio che conduce alla lontana terra del mattino che si trasforma in silenzio. Un silenzio che decanta, diventa parola e insegna l’attesa e la pazienza. Quella stessa che il vecchino, personaggio chiave che dispensa qui e lì saggezza, lascia discendere dalla capacità di rallentare il tempo, smettendo di correre e sperimentando la meraviglia e l’ascolto. Dunque la lentezza non è sinonimo di staticità e passività, bensì di libertà. Il titolo della raccolta sottolinea, proprio, la peculiarità della tartaruga: la lentezza che nella vita dell’uomo costituisce, invece, una ricchezza. Nel giardino che Francesco Idotta adorna con i suoi racconti, le sue filastrocche e i suoi dialoghi e Santina Parente con le sue illustrazioni, trovano terreno fertile i semi fecondi di quella storia che attraverso i piccoli eroi di ogni tempo si compie ogni istante. Vicende che traggono la loro magia e il loro incanto fatato dalla diversità, dalla fragilità e dal coraggio che contraddistinguono la dimensione dell’uomo anche solo impersonata, come accade nel “Giardino delle Tartarughe” popolato da astri, nuvole, goccioline, barbagianni, tartarughe, farfalle, orsi, un vecchietto dagli occhi celesti, la lunga barba e i capelli nivei, e la giovane Lusienda. Gli eroi di questo libro sono infatti una timida luna che comprende che la bellezza è patrimonio di tutte le creature; le stelle che, vincendo la paura del volo, incarnano il timore che precede qualunque primo passo e che richiede il coraggio della fiducia e dell’abbandono; una giovane che intraprende il viaggio che ognuno dovrebbe condurre fuori e dentro di sé, in giro per il mondo. Un viaggio le cui vie sono ormai incrociate al punto da non rendere più necessario fare tanta strada per conoscere nuove culture, imparare nuove lingue, scoprire nuovi profumi. Dall’incontro di due diversità che nasce l’opportunità di scorgere e, dunque,  non ammettere o superare il pregiudizio, assaporando il bisogno di condivisione o assecondando la bramosia di supremazia. Un cammino condotto cercando, ognuno a proprio modo, di non lasciarsi vincere dal male che inesorabilmente ci tocca.”Non esiste una ricetta che valga per tutti: ognuno deve cercare da solo il modo per vincere il male”.  Una missione rivolta ad ogni essere su questa terra dilaniata dagli egoismi, dalle guerre per un liquido scuro e puzzolente e dall’indifferenza. “La nostra terra soffre moltissimo e noi non possiamo ignorare che molti patiscono la sete e la fame, dobbiamo intervenire!”. Così una donna spiega a Lusienda la missione che accomuna tutti e che ha l’obiettivo di ricondurre tutto a quell’antica armonia, figlia del bene che teniamo sepolto o che è esso stesso terra in quel giardino di fiori e speranza che chiamiamo anima. “Il mondo è pieno di malvagità, ma è ricco anche di persone buone e leali. La cattiveria è solo più evidente”. La cosa più difficile è non cedere di fronte alla schiacciante ma solo apparente e più evidente forza della malvagità che scardina, confonde, distrugge mentre il bene lavora con quella lentezza che è pazienza, durevolezza, profondità, capacità di sopportare fatiche. Necessarie tenacia e ostinazione che trovano fondamento nella consapevolezza che Francesco Idotta pone nelle parole di una castagna: “l’impegno di un solo uomo può bastare per salvare un angolo di pianeta”. Un uomo nel suo piccolo può dare il contributo fondamentale alla salvezza del pianeta, potrà essere il primo di una nuova generazione capace di intendere e parlare il linguaggio dell’uguaglianza e della solidarietà. Tutto ciò richiede coraggio. Un coraggio che, in queste pagine, si tramuta nella luce che, arricchendo la volta celeste, riscalda i sogni che ad essa si affidano. Non è una dimensione fatata ma una dimensione che, in ragione del bisogno di essere salvata, sta oggi rischiando seriamente il tracollo. Soccorrono la leggerezza delle fiabe e la profondità della speranza che dispensano, per un mondo che è oggi lontano da ciò per cui esiste. Le gocce di pioggia dovrebbero tornare ad essere lacrime di cielo e l’arcobaleno uno scrigno di colori. Una dimensione tanto poetica ed essenziale quanto distante da quanto oggi il nostro animo riesca ancora a percepire. C’è bisogno di stimolare la tenerezza dell’incanto e la vivacità della fantasia per riscoprire quanto stiamo smarrendo o lasciando indietro sulla nostra strada. Ce n’é bisogno per divenire consapevoli che ciò che stiamo tralasciando è il nostro futuro. Queste pagine sono di grande confornto per l’anima di quanti sono ancora capaci di salvifici atti di amore, poiché “(….) occorre che le persone generose non lascino che i violenti trionfino”. Queste pagine insegnano speranza

Anna Foti